Le aperture che ci si aspetta - Giovanni Costantini conductor
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Le aperture che ci si aspetta

Mentre i ristoranti lanciano #ioapro in trasgressione ai divieti, le crociere italiane viaggiano a gonfie vele e le prime pagine dei giornali sono dedicate alle aperture degli impianti da sci, il settore dello spettacolo dal vivo ed i suoi fruitori guardano con attesa e preoccupazione alle prossime scelte politiche sulle norme di contenimento dell’epidemia. Posto che la parte intelligente della società sta oramai imparando a convivere con la presenza del virus e che un eventuale concetto di “guerra lampo” al virus sembra decisamente tramontato a favore di una battaglia di trincea, un’ottica di lungo periodo dovrebbe portare a riconsiderare determinate misure, pena la totale e definitiva cessazione di una parte delle attività umane, con pesanti ricadute sociali ed economiche.
Si tratta di ragionamenti ben delicati, che non intendono perdere di vista “il fronte” – personale medico e malati – ma che cercano di guardare oltre e attraverso. In questo senso, non appare fuori luogo il paragone con un conflitto bellico, durante il quale – ce lo dicono le molte narrazioni di entrambe le guerre mondiali – c’era anche chi si permetteva di andare al cinema, tra un bombardamento e l’altro, e chi iniziava una frase con “Quando questa guerra sarà finita…”.

La sociologia e l’antropologia ci dicono che la speranza è una necessità dell’essere umano, nonché una condizione essenziale per cercare di conseguire un risultato apprezzabile: in questo caso sconfiggere il virus e le sue conseguenze, dirette ed indirette. E la speranza si alimenta con la Bellezza, con la qualità del vivere, con l’essere vivi e col sentirsi vivi. Una società “prigioniera” è una società incattivita, destinata più probabilmente ad abbruttirsi che a crescere.
Una serata a teatro – naturalmente con le dovute cautele e precauzioni – è indubbiamente un’iniezione di dopamina e serotonina al naturale, è la sensazione di un ritorno alla normalità e alla “libertà”, è la possibilità di soddisfare bisogni sopiti, di distrarsi da un quotidiano pesante, di raccogliere Bellezza a piene mani. Tutto questo, per il pubblico.

Per i lavoratori dello spettacolo, poi, la posta in gioco è ancora più grande e tocca molteplici aspetti del vivere: la considerazione sociale, la condizione economica, l’autostima, la fiducia sul futuro. Streaming, registrazioni, dirette tv e canali multimediali sopperiscono in minima parte alle problematiche sopra esposte: la relazione col pubblico è fondamentale e non va sottovalutata. Altrimenti non saremmo ancora oggi a distinguere regolarmente lo spettacolo dal vivo da altri generi di attività culturale o di intrattenimento.

E, a proposito del pubblico, ci siano consentite due osservazioni non secondarie. Primo: il pubblico dei teatri – della classica, della prosa e della danza – si è sempre qualificato per un contegno fisico-comportamentale nemmeno paragonabile a quello di altri contesti di “aggregazione” (dalla discoteca, allo stadio, al bar, al centro acquisti…): distacco, formalità e distanza sono caratteristiche tipiche (e consone) dello stare in un foyer o in una sala. Secondo: per fruire di uno spettacolo in teatro, è necessario prenotare se non addirittura acquistare un biglietto, che permette di contingentare facilmente l’accesso agli spazi. E questo, ancora una volta, a differenza di altri ambienti di frequentazione massiva rimasti finora aperti al pubblico.

È sulla base di tutte queste considerazioni ed evidenze che il settore dello spettacolo dal vivo ed i suoi fruitori si aspettano, legittimamente, delle aperture dal governo. Le aperture – se non fosse chiaro – dei teatri.