Arrivederci, maestro - Giovanni Costantini conductor
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Arrivederci, maestro

Considero con piacere, e con un pizzico d’orgoglio, padre Ruggero Luigi Pitton un mio maestro.
Mi ritrovo a scrivere di lui ora che è venuto a mancare, e non è un caso: non era un nome dello “star system” della musica classica, vuoi per gli anni trascorsi dai suoi successi nei concorsi corali, vuoi per il profilo defilato che l’ha sempre caratterizzato, essendo egli quel genere di musicista che mette al centro la musica, non l’interprete.
Da bambino sedevo nei gradoni alle spalle delle sezioni maschili della Cappella Musicale Monteberico e, con le braccia, imitavo i suoi gesti morbidi, in silenzio, suscitando i sorrisi di tenerezza di chi mi vedeva. Anche lui mi scorgeva, ma non si arrabbiava; anzi, da tanto burbero che era stato fino a quel momento con i cantori, si scioglieva in un sorriso di complicità.
Nei primi anni di conservatorio andavo da lui a perfezionare la mia conoscenza della teoria musicale, del solfeggio, dell’armonia. Ricordo le sue lezioni impeccabili, accademiche, che avevano solo un orario d’inizio, non uno di fine: bastava un minuto di ritardo nel mio arrivo, una scala imprecisa, una terzina mal scandita, un foglio dimenticato, ad allungare la lezione di un’ora o più: quello che serviva, per educarmi e perché io imparassi.
Quando ho avuto la possibilità di apprendere davvero qualcosa della sua gestualità direttoriale e delle sue conoscenze musicali, la CMMB – la “sua” Cappella Musicale Monteberico – era solo il ricordo delle meraviglie espresse nel passato ed anche la sua voce si spezzava nel canto. Non si spezzò mai la sua passione.
Fu lui ad indirizzarmi ai primi corsi di direzione di coro, dopo avermi dato i primi insegnamenti sulla disposizione dei cantori, sulla scelta dei brani per la liturgia, sulla musica sacra antica. Conservo preziosa la sua lettera di presentazione ai corsi dell’Accademia Musicale Chigiana: il suo nome non avrà detto nulla ai più; sarebbe bastato avessero visto le foto dei concorsi internazionali – molte volte vinti – che campeggiavano nella sede di Santa Caterina, prima, e di Monte Berico, poi.
Lungi da me santificarlo oggi (non sono nessuno per farlo e nemmeno lo vorrebbe lui), ma era un uomo che “gioiva nel Signore”, ed era un “figo”: mi sia concessa oggi quest’espressione che, meglio di qualunque altra, spiega come una sua foto avesse potuto trovare spazio nella camera di un adolescente, tra il poster di un atleta, la foto di un’attrice e l’effige di un leader. La cravatta allentata, il mazzo di chiavi alla cinta, l’orologio digitale al polso, i capelli scompigliati, lo sguardo bello: un custode della musica, un maestro. Il mio primo maestro.